LA CITTA'
        Lo stemma di Rieti  
        Nel basso medioevo, fra il XIV ed il XV secolo, 
          la città di Rieti provvide a dotarsi di un proprio stemma, che 
          sostituisse l'insegna utilizzata in genere dai comuni ( croce bianca 
          in campo rosso) indicata ancora come emblema in un testo delle Riformanze 
          dell'anno 1384 ( "Quilibet ipsorum per Dominos priores, detur 
          et assegnetur una bandera rubra cum cruce alba in medio ut, antiquitus, 
          Banderarii dictae civitatis habebant": a chiunque rappresentasse 
          i Priori ed avesse dunque un incarico pubblico doveva essere assegnata 
          una bandiera rossa con croce bianca al centro, come anticamente avevano 
          i vessilliferi della città).
          Durante la prima età moderna, l'emblema della città di 
          Rieti assunse una prima connotazione originale: si tratta di uno scudo 
          reticolato, che rievoca l'origine lacustre della città ed allude 
          all'importanza delle sue acque per il benessere del suo popolo, dedito 
          alle attività primarie dell'agricoltura e della pesca.
          Successivamente, fra il XV ed il XVI secolo, lo scudo sottostante alla 
          rete si ovalizza e si divide in due campi, il superiore di colore amaranto, 
          l'inferiore di colore celeste.
          La rete continua ad essere rappresentata soltanto nella metà 
          inferiore, mentre al di sopra della linea mediana si delineano le silouettes 
          di un cavaliere in armi a destra e di una donna con le insegne cittadine 
          a sinistra.
          Nel XVII secolo, quando vengono rappresentati due pesci dentro la rete, 
          un terzo fuori di essa, lo stemma raggiunge la sua forma definitiva.
          La complessa immagine che deriva da questa successione di fasi è 
          certo il risultato di uno studio sistematico dei segni e dei simboli 
          araldici, che ricapitolano nello stemma i fatti salienti della storia 
          cittadina: la dama vessillifera è dunque la fondatrice e l'eponima, 
          Rea Silvia, che s'identifica nella città stessa, mentre il cavaliere 
          è il console Marco Curio Dentato, artefice della bonifica a cui 
          la città fu debitrice di benessere.
          Con arguzia, Pompeo Angelotti offre nella sua Descrittione della 
          città di Rieti (1635) una curiosa interpretazione del significato 
          simbolico attribuito alla rete ed ai pesci: "la rete (è) 
          la legge: i sudditi, i due pesci racchiusi nella rete; ed il Magistrato, 
          a cui conviene l'unità e la maggioranza, sarebbe il pesce grosso 
          fuori della rete".
          Allo stemma cittadino si aggiunsero, nel corso del Seicento, i motti 
          "Civitas reatina fidelis" ed "In pratis late 
          condidit ipsa Reate", alludendo nel primo caso all'antica caratteristica 
          sabina della fides, intesa come fedeltà, osservanza delle regole, 
          rispetto dei patti, nel secondo caso invece facendo riferimento alla 
          leggenda di fondazione.
         
        La forma urbis
        La conformazione geologica, l'andamento demografico, 
          le condizioni storiche sono tra gli elementi che contribuiscono a definire 
          la forma urbis, vale a dire la configurazione urbanistica che 
          rende unica, caratteristica e riconoscibile tra tutte ogni singola città.
          I tratti che attualmente indichiamo come tipici della città di 
          Rieti corrispondono in larga parte ai suoi monumenti più antichi, 
          dal ponte romano alle mura ed alle chiese medievali, ma nel corso dei 
          secoli la città si è venuta trasformando non soltanto 
          attraverso l'ampliamento dei suoi confini, ma anche attraverso un continuo 
          processo di stratificazione, abbattendo strutture per ricostruirne altre 
          o modificando l'assetto delle vie e dei corsi d'acqua.
        Le più varie testimonianze, dalle descrizioni 
          di tipo letterario, storico o antiquario fino ai documenti materiali 
          costituiti in tutto o in parte dagli edifici pubblici e privati, consentono 
          di seguire nel tempo le fasi del cambiamento che caratterizzano l'assetto 
          urbano reatino.
          Nel Seicento, Loreto Mattei descrive nel suo "Erario Reatino" 
          la struttura urbanistica della città paragonandola singolarmente 
          a un gambero, o piuttosto ad uno scorpione: "La figura et ambito 
          della sua pianta rappresenta quasi un triangolo bislongo o come dicono 
          i Matematici Isoscele, con la punta verso Levante e la base a Ponente, 
          in sembianza appunto di un Arpicordo; se non che da piè diramandosi 
          infuori con li due Borghi di là dal fiume, viene a figurare a 
          chi per di fianco la mira più presso un gammaro brancuto o un 
          biforcato scorpione".
          Il canonico Carlo Latini, nei primi anni dell'Ottocento, riprende la 
          descrizione specificando, a sua volta, così: "La sua 
          forma non è tanto di un gambero ( ... ) quanto di uno scorpione, 
          la cui coda è formata dal Rione detto di Porta d'Arci: e le cui 
          branche consistono nelle due braccia, in cui dividesi il Borgo. Convien 
          però figurarsi lo Scorpione non in una posizione retta ma alquanto 
          incurvata".
          Se proviamo ad individuare nella città di oggi gli elementi descritti 
          dai due eruditi locali, riconosciamo gli elementi geometrici del triangolo 
          isoscele indicati da Loreto Mattei, ma a Nord-Ovest di là dal 
          fiume la situazione si è radicalmente modificata.
          Alla fine degli anni '50, infatti, risale un radicale intervento di 
          bonifica che ha riguardato il prosciugamento del ramo del fiume Velino 
          detto della Cavatella, funzionale allo sfruttamento del trasporto fluviale 
          delle merci, che completava il sistema difensivo della città, 
          integrato a Nord-Est dal circuito delle mura del XIII secolo.
          All'interramento del fiume è seguita l'espansione urbanistica 
          nel quartiere detto "Città Giardino".
          Interventi non meno importanti sono stati compiuti fra l'ultimo quarto 
          del sec. XIX ed il terzo del XX per adeguare la forma urbis alle 
          esigenze della vita moderna: in particolare, le mura hanno subito una 
          serie di segmentazioni per consentire la costruzione della stazione 
          ferroviaria ed il Palazzo degli Studi nel tratto settentrionale in corrispondenza 
          dell'antica Porta Leporara o Leporaria, per rendere più agevole 
          la circolazione automobilistica a Porta d'Arce e a Porta Conca. 
          In quest'ultimo caso, il parziale abbattimento dei bastioni della barriera 
          doganale, residuo dell'amministrazione dello Stato Pontificio, è 
          stato assunto a pretesto per conferire un'aria di modernità all'accesso 
          cittadino.
          La piazza Vittorio Emanuele, l'antico forum, ha visto abbattere 
          la chiesa di San Giovanni in Statua per costruire un albergo centrale, 
          ha visto radere al suolo il palazzo degli Alfani, che tentarono nel 
          XV secolo di trasformare in Signoria l'assetto comunale cittadino per 
          ampliare la sede comunale, ha assistito infine alle vicissitudini della 
          Fontana dei Delfini, smantellata negli anni Trenta per fare posto al 
          traffico, ripristinata grazie ad una petizione popolare negli anni Ottanta. 
          La fontana di piazza Oberdan, già piazza del Leone, non è 
          stata invece a tutt'oggi recuperata.
          Anche i platani di viale Maraini hanno pagato il loro tributo alla modernità, 
          quando quarant'anni fa è stato abbattuto il filare centrale della 
          "passeggiata" per raddoppiare la sede stradale della carreggiata.
        
          
        La toponomastica cittadina
        Nella sua storia, lunga quasi tremila anni, la 
          città ha sostanzialmente conservato il suo nome (dall'arcaico, 
          sabino Reate al moderno Rieti), ma ha modificato in maniera 
          radicale il suo assetto.
          Possiamo immaginarla in origine come un nucleo arroccato sulla piattaforma 
          dell'arx, corrispondente all'area gravitante intorno all'attuale 
          piazza San Rufo, proprio là dove recenti scavi archeologici hanno 
          individuato una stratigrafia che conferma l'antichità dell'abitato.
          La collina, digradando di un dislivello pari a circa venti metri d'altitudine, 
          era lambita dalle acque del lacus Velinus, bonificato in età 
          romana.
          Il municipium romano ampliò i confini dell'insediamento 
          che si dotò di un forum prospiciente all'antica arx, 
          nel quale si svolgevano gli affari, secondo l'uso della res publica.
          La città di Reate fu collegata a Roma mediante una via 
          strata, lastricata perché considerata un'arteria di grande 
          interesse commerciale e strategico.
          Fu, nell'ordine, la quarta delle grandi vie di comunicazione, la Salaria, 
          chiamata "via del sale" perché collegava trasversalmente 
          i due mari, dalle saline tirreniche di Ostia alle sponde del mare Adriatico.
          La Salaria, attraverso il ponte a tre luci costruito sul fiume Velino 
          ed il viadotto che colmava il dislivello fino a raggiungere l'arx, 
          tracciava il cardo ed il decumanus, le principali strade 
          interne disposte ortogonalmente secondo il tracciato dell'accampamento 
          romano.
          La città, che si era dunque data il tipico assetto urbanistico 
          romano, era circondata da una cerchia di mura che delimitavano la parte 
          più elevata della rocca.
          Alcuni tratti delle mura romane possono essere individuati inglobati 
          in strutture medievali o riutilizzati come materiali di risulta.
          Solo nel XIII secolo, dopo la crisi dell'Impero Romano ed i secoli bui 
          dell'alto medioevo, la città conobbe una nuova espansione legata 
          all'incremento demografico ed alle mutate condizioni politiche.
          Si rese dunque necessario dotare la città di una più ampia 
          cinta muraria, atta a circoscrivere gli isolati di nuova formazione, 
          che i documenti dell'epoca descrivono come "allargo" 
          dell'antico abitato.
          La città medievale si divise in sestieri, solcati da strade carrabili 
          a cui conduceva una più fitta rete di viuzze aperte tra case 
          e botteghe, dove si svolgevano le più svariate attività.
          La toponomastica registra i mutamenti indicando l'antico cardo con il 
          nome di via di Ponte, dal momento che sulle spallette del ponte in pietra 
          erano costruite delle strutture di legno in cui si esercitavano i commerci, 
          mentre lungo il viadotto che saliva verso la città erano i fondachi 
          dei mercanti, approvvigionati dal trasporto fluviale che si svolgeva 
          presso la retrostante via del Porto. Il decumanus viene invece 
          indicato come via Abruzzi, dal momento che conduce fino alla porta d'Arce, 
          eretta a guardia dei confini con il Regno di Napoli.
          Altre vie conservano nel nome il ricordo delle attività che vi 
          si svolgevano prevalentemente: via del Forno, via delle Molina, via 
          dei Cordari, via Pellicceria, via degli Orti, via della Verdura.
          Il caso di via Pescheria va segnalato, perché le insegne del 
          mercato del pesce restano a testimonianza del sito lungo il lato orientale 
          del palazzo comunale.
          A volte, il nome indica invece la presenza di un edificio o di un'istituzione 
          d'interesse pubblico, come accade per le molte chiese che denominano 
          una strada o una piazza, per via dell'Ospedale o per via del Burò, 
          a ricordo della dominazione napoleonica.
          L'immondezzaio della Cattedrale dà il nome alla zona detta di 
          Buttu de' Santi, ingentilito poi in un pio ma incongruo Voto 
          de' Santi.
          In via della Ripresa resta traccia dell'antica, tradizionale corsa dei 
          cavalli berberi, il palio locale che si correva con i cavalli "scossi", 
          ripresi al termine della ripida discesa dell'Ospedale.
          
         
        Reate: ipotesi di ricostruzione 
          dell'assetto urbanistico in età romana
         Gli studi susseguitisi nell'arco del XX secolo 
          contribuiscono a far luce sull'assetto urbano reatino, così come 
          venne a configurarsi dopo la conquista romana (290 a.C.).
          Dal III al I secolo avanti Cristo, Reate fu costituita come praefectura, 
          diventando autonomo municipium in età augustea.
        L'istituzione della praefectura, come 
          organismo amministrativo funzionale al controllo dei territori di più 
          recente conquista, è caratterizzata da una fitta serie di interventi 
          di urbanizzazione: la fortificazione dell'arx, la costruzione 
          del ponte sul Velino e del viadotto atto a colmare il dislivello fra 
          l'arx ed il corso del fiume sono i più significativi ed 
          a tutt'oggi visibili.
          Il ponte, parzialmente demolito fra il 1932 ed il 1936, quando si decise 
          di costruire una nuova struttura più adatta a contenere il deflusso 
          delle acque, era lungo m. 28,50, largo all'interno m. 5,15 raggiungendo 
          i m 6,05 con le spallette laterali.
          Costruito con blocchi di travertino legati da malta, il ponte aveva 
          tre archi a tutto sesto ed era collegato in asse con il viadotto, formato 
          in origine da due muraglioni costruiti secondo le tecniche in uso in 
          età repubblicana in opus quadratum, di grandi conci di 
          pietra intervallati da vaste arcate a tutto sesto, aperte per consentire 
          il transito ed il deflusso delle acque in caso di inondazioni.
          Tracce delle mura romane sono individuabili fra via Garibaldi, via del 
          Vignola, via Pescheria, piazza Oberdan.
          Da qui, si accede ad un cunicolo scavato nella roccia, percorribile 
          per un tratto di 15 metri, originariamente pertinente alla rete fognaria 
          della città.
          Il Forum occupava la parte alta della città, in corrispondenza 
          con l'attuale piazza Vittorio Emanuele ma avendo dimensioni più 
          ampie.
          Durante i lavori di riassetto della piazza, negli anni 1862-'65 e nel 
          1909, furono rinvenuti frammenti dell'antica pavimentazione, costituita 
          da lastre rettangolari di travertino.
          Il toponimo medievale di platea statuae, passato ad individuare successivamente 
          la chiesa di San Giovanni in Statua (demolita nel 1931 per consentire 
          la costruzione dell'Albergo Quattro Stagioni), fa supporre che il foro 
          fosse dotato di statue, secondo alcuni a carattere religioso-sacrale, 
          secondo altri studiosi invece a carattere celebrativo.
          Nel primo caso, si ipotizza la presenza di un monumento dedicato a Rhea, 
          la divinità eponima fondatrice della città, nel secondo 
          caso, confermato dai reperti di statue raffiguranti personaggi togati, 
          probabilmente legati alla storia cittadina.
          Ad ovest il Foro era chiuso dal tempio che la tradizione, sostenuta 
          da una testimonianza di Silio Italico, attribuisce suggestivamente a 
          Rhea: l'ipotesi di un tempio dedicato ad una divinità 
          orientale resta poco plausibile, in un contesto di colonizzazione quale 
          è appunto la Reate del III secolo.
          Non confermate da ritrovamenti archeologici sono le ipotesi di individuazione 
          dell'anfiteatro, secondo alcuni posto al di là del fiume nella 
          zona denominata in età medievale Arilaci, con un toponimo di 
          origine longobarda indicante costruzioni di forma rotonda, secondo altri 
          edificato nella zona pianeggiante a nord (presso la chiesa di Sant'Agostino) 
          o ad ovest (presso la chiesa di San Domenico).
        
          
        Rieti sede pontificia
        Durante l'età medievale, le due grandi 
          istituzioni sovranazionali costituite dal Papato e dall'Impero si affermarono 
          e consolidarono attuando una complessa politica di controllo del territorio: 
          in particolare, i singoli Comuni a garanzia delle loro libertà 
          erano indotti a schierarsi nel campo d'influenza dell'una o dell'altra 
          potenza universalistica.
          I sostenitori del Papato vennero comunemente definiti Guelfi, e le mura 
          delle loro città - come è nel caso delle mura reatine 
          - erano caratterizzate dai merli a conci pieni, i fautori dell'Impero 
          vennero invece chiamati Ghibellini, e le loro mura merlate avevano conci 
          a coda di rondine.
          La contesa fra le due potenze determinò la lotta per le investiture" 
          ed alimentò le lotte tra fazioni e casati all'interno degli stessi 
          Comuni.
        Ai tempi della crisi dell'Impero Romano d'Occidente, 
          Rieti aveva subito l'invasione dei Visigoti.
          Nel corso del VI secolo alla dominazione dei Goti seguì quella 
          dei Longobardi: la città divenne gastaldato, rimanendo nell'area 
          influenza del Ducato di Spoleto fino alle invasioni saracene che travagliarono 
          la Sabina tra la fine del secolo IX ed i primi anni del secolo successivo.
          Dopo l'anno Mille, nei territori di confine si intensificarono le contese 
          fra il Papato e l'Impero.
          I reatini sopportarono per due anni, fra il 1149 ed il 1151, l'assedio 
          da parte delle truppe di Ruggero II, che infine mise a ferro e fuoco 
          la città.
          Quando infine la città entrò a far parte dei territori 
          del Patrimonio di San Pietro, assunse a pieno titolo il rango di sede 
          pontificia dal momento che i papi intensificarono i viaggi ed intervennero 
          personalmente se non ad amministrare, quanto meno a vigilare sull'amministrazione 
          delle località di maggiore importanza strategica.
          Rieti, incastonata ai confini del Regno di Napoli in una posizione di 
          controllo degli assi di collegamento viario, ospitò dunque numerosi 
          pontefici tra la metà del secolo IX ed il finire del XIII.
          La cosiddetta "cattività avignonese" - lo spostamento 
          della sede pontificia in Provenza operato da papa Clemente V nel 1309 
          e protrattosi fino al 1377, quando papa Gregorio XI su esortazione di 
          Santa Caterina da Siena rientrò a Roma - pose fine alla tradizione 
          che vedeva i pontefici alternarsi tra le varie residenze all'interno 
          del Patrimonio di San Pietro.
          Furono dunque a Rieti, nell'ordine, papa Leone IV intorno alla metà 
          del IX secolo, papa Innocenzo III nel 1198, papa Onorio III rispettivamente 
          nel 1219 e nel 1225, papa Gregorio IX nel 1227, nel 1232 e nel 1234, 
          papa Niccolò IV tra il 1288 ed il 1289, infine papa Bonifacio 
          VIII nel 1298.
          Alcuni episodi di rilevanza storica, sia locale, sia generale, si verificarono 
          durante la permanenza dei pontefici a Rieti.
          Per a storia della Chiesa reatina, è importante ricordare che 
          papa Innocenzo III presenziò alla traslazione dei corpi dei martiri 
          S. Eleuterio ed Anzia, mentre papa Onorio III nel 1225 consacrò 
          la Cattedrale.
          Riguardano invece la Chiesa universale l'incontro di questo pontefice 
          con San Francesco d'Assisi e la canonizzazione di San Domenico da Guzman, 
          compiuta da papa Gregorio IX nell'estate del 1234.
          Importanti sotto il profilo politico sono infine l'incontro fra Gregorio 
          IX e Federico II e l'incoronazione di Carlo II d'Angiò re di 
          Sicilia e Gerusalemme, avvenuta il 29 maggio 1289 ad opera di Niccolò 
          IV.
          La presenza di Bonifacio VIII a Rieti fu turbata da un violento terremoto, 
          che indusse il papa a rifugiarsi in una tenda da campo, montata nel 
          chiostro del convento dei Domenicani.
          Lo stesso papa promosse poi la ricostruzione ed il consolidamento delle 
          strutture urbane danneggiate dal sisma, facendo edificare l'arco detto 
          del Vescovo, a sostegno dello stesso Palatium Domini Papae, il Palazzo 
          Papale che era stato edificato intorno alla metà del secolo accanto 
          al Palazzo Vescovile.
          
         
        Le mura di Rieti
        La città di Rieti vanta due diversi circuiti 
          murari, il più antico di età repubblicana, il più 
          recente eretto intorno alla metà del XIII secolo.
          La cerchia più antica si estendeva lungo una linea perimetrale 
          oblunga, includendo la parte più elevata dell'urbs : i 
          suoi confini si estendevano approssimativamente ad Ovest dall'Arco del 
          Vescovo ad Est all'attuale via Tancredi, a Nord lungo il terrapieno 
          su cui si erge il monastero di San Paolo, a Sud lungo l'asse viario 
          costituito da via Pescheria e via San Pietro Martire, che interseca 
          via Roma.
          Lungo questo circuito, che alternava al terrapieno dei tratti murari 
          ancora frammentariamente visibili nelle costruzioni posteriori che ne 
          hanno riutilizzato i materiali, si aprivano ad occidente la Porta 
          Quintia o Cintia, ad oriente la Porta Interocrina 
          o Carana, a meridione la Porta Romana, aperta sul viadotto 
          di accesso alla città.
          Durante l'alto medio-evo, si registra nel lato settentrionale l'apertura 
          della Porta San Giovanni, lungo via Pennina.
          I toponimi di Porta Cintia e Porta Romana hanno seguito lo sviluppo 
          urbanistico, venendo ad indicare negli interventi successivi di ampliamento 
          le nuove porte di accesso alla città, l'una risalendo a settentrione, 
          l'altra, addirittura, eretta nel 1586 extra pontem, includendo 
          al suo interno anche l'abitato del Borgo.
          L'attuale esedra, che isola la porta rendendola simile ad un arco trionfale, 
          risale agli interventi di sistemazione urbanistica operati dall'architetto 
          Bazzani nei primi decenni del XX secolo.
          Il circuito medievale delle mura si sviluppò a partire dalla 
          metà del XIII secolo lungo l'asse settentrionale, estendendo 
          i bastioni da est ad ovest fino a ricongiungersi con il corso del fiume, 
          che costituiva insieme con il tratto artificiale della Cavatella una 
          valida difesa naturale.
          Gli antichi documenti medievali conservano i nomi di varie porte d'accesso 
          alla città, scomparse nel corso dei secoli: a partire da Sud, 
          lungo il corso della Cavatella, oltre alla Porta Romana a tutt'oggi 
          esistente, si aprivano la Porta Sant'Antonio e la Porta Arringo 
          o Aringo; più all'interno, era la Porta di Ponte, 
          in corrispondenza con la torre del Cassero, demolita nel 1883; ad Est, 
          nei pressi della Porta d'Arce, si susseguivano Porta Cordale, 
          Porta San Benedetto e Porta San Leonardo, mentre il lungo 
          lato settentrionale era scandito dalla Porta Leporaria e, dopo 
          Porta Cintia, ad Ovest, dalla Porta Sant'Agnese, detta altrimenti 
          Porta Santi Apostoli.
          Il lato settentrionale delle mura era caratterizzato inoltre all'interno 
          da una carbonaia, all'esterno da un antemurale lungo il cui tracciato 
          scorrono adesso le vie alberate che fungono da circonvallazione alla 
          città.
          Con il trascorrere dei secoli, mantennero la loro primaria importanza 
          le porte di accesso rispetto agli assi viari di maggior transito ed 
          interesse strategico: Porta Romana, lungo la via di collegamento con 
          Roma, Porta d'Arce, la più munita dal punto di vista militare 
          aprendosi nei pressi del confine con il Regno di Napoli, Porta Cintia, 
          aperta verso le città umbre.