IL TERRITORIO
        Rieti centro d'Italia o città 
          di confine?  
        Secondo la testimonianza di Dionigi di Alicarnasso, 
          i Sabini occupavano la regione dell'Italia mediana distante all'incirca 
          duecentoottanta stadi dall'Adriatico, duecentoquaranta dal Tirreno.
          L' erudito calcolava in poco meno di mille stadi l'estensione del territorio 
          sabino, di cui a sua volta Strabone descrisse le caratteristiche: si 
          trattava di una terra incastonata fra i monti, solcata dalle acque, 
          protesa obliquamente dalla costiera tirrenica fino alle sponde dell'Adriatico 
          , abitata da un popolo dalle origini remote, a cui gli autori dell'antichità 
          greca e romana attribuivano indubbie doti di sagacia e di lealtà.
          Sulla scorta della tradizione pansabina, Marco Terenzio Varrone, il 
          più celebre e fecondo tra gli eruditi romani, attribuì 
          ai Sabini nel testo delle Antiquitates rerum humanarum un'origine 
          antichissima ed autoctona, considerandoli orgogliosamente antenati della 
          stessa Roma.
          Reate, la città madre della gente sabina, è l'umbilicus 
          Italiae da cui prende vita la civiltà romana.
          Se dal punto di vista antiquario le tesi varroniane trovano una conferma 
          nella collocazione geofisica dell'insediamento reatino in una zona centrale 
          della penisola italica, la storia successiva alla caduta dell'Impero 
          Romano d'Occidente, fino alla costituzione del Regno d'Italia, fa di 
          Rieti per oltre un millennio una città di confine.
          Tra il IV ed il V secolo, la Sabina subisce le conseguenze delle invasioni 
          e delle dominazioni barbariche.
          Rieti viene assoggettata prima dai Goti, poi dal Longobardi, entrando 
          a far parte del Ducato di Spoleto.
          Durante l'alto medioevo, in particolare fra l'VIII ed il IX secolo, 
          l'Abbazia benedettina di Farfa assume un ruolo primario nel riassetto 
          del territorio, rimanendo fino al XII secolo sotto la diretta protezione 
          imperiale.
          Fino al 774, anno in cui Carlo Magno dona alla Chiesa il ducato di Spoleto, 
          Rieti fa parte dei territori di confine di pertinenza imperiale; consolidato 
          dopo il X secolo il potere della Chiesa in Sabina, viene ad assumere 
          il ruolo di baluardo nei confronti del Regno di Napoli.
          Lo stesso territorio reatino, fino ai borghi cittadini al di là 
          del fiume, resta frequentemente di pertinenza dell'Abbazia di Farfa.
          Durante l'età comunale, la città ospita frequentemente 
          la corte pontificia fino al tempo della cattività avignonese.
          Il secolo XIV è travagliato dalle lotte fra guelfi e ghibellini, 
          che nei territori più vicini a Roma si confondono con le lotte 
          tra le fazioni dei Savelli, degli Orsini, dei Colonna.
          Nel corso del XV secolo, la città di Rieti passa da una condizione 
          di neutralità all'alleanza con il re Ladislao d'Ungheria.
          Nel 1416, accoglie il condottiero Braccio da Montone, che tre anni più 
          tardi la restituisce al Patrimonio di San Pietro, stipulando un accordo 
          con papa Martino V.
          Fino all'annessione al Regno d'Italia, decretata nel 1861, ad eccezione 
          della breve dominazione napoleonica agli inizi dell'Ottocento, Rieti 
          rimase a guardia del confine con il Regno delle Due Sicilie, nei cui 
          territori addirittura si estendeva l'autorità vescovile.
          Di volta in volta aggregata all'Umbria, all'Abruzzo, al Lazio, l'antica 
          regione storica della Sabina con il suo capoluogo è dunque ad 
          un tempo centro geografico, confine storico della penisola.
        
          
        L'incastellamento
        La lenta, irreversibile crisi dell'impero rese 
          pericolosi fin dal IV secolo sia gli agglomerati sorti lungo gli itinerari 
          più frequentati della via Salaria, della via Caecilia e delle 
          varie diramazioni locali delle consolari, sia le antiche villae 
          e le numerose capanne e case rurali che costellavano il territorio agrario.
          La Sabina era caratterizzata infatti da una antropizzazione diffusa, 
          scarsamente concentrata nei municipia, istituiti al tempo della 
          colonizzazione romana del III sec. a.C. nelle preesistenti città 
          sabine: le caratteristiche del territorio, adatto alla pastorizia sulle 
          alture, irriguo e fertile nella piana reatina, ne avevano garantito 
          il benessere ed avevano fatto sì che la popolazione stanziale 
          vi si distribuisse capillarmente.
          Il fitto reticolo viario costituito dalle consolari, la navigabilità 
          del corso dei fiumi che vi trovavano il loro bacino di confluenza rendeva 
          però assai facile l'accesso da Sud e da Ovest.
          Gradualmente, si affermò dunque il fenomeno detto dell'incastellamento, 
          che consiste nell'edificazione di "castra", insediamenti 
          fortificati sul crinale delle colline e sui primi contrafforti appenninici, 
          in posizione dominante sulle vie di accesso che erano collegate al "castrum" 
          unicamente attraverso un percorso.
          La fortificazione è costituita prevalentemente dalla chiostra 
          esterna di abitazioni, le cosiddette "case-bastione", 
          che consentono l'accesso soltanto dalla parte interna dell'abitato, 
          caratterizzate da muraglie alte e ben munite, dotate di piccoli finestrini 
          soltanto in alto.
          Anche all'interno del "castrum" si abbandona del tutto 
          l'assetto urbanistico romano ordinato in quartieri: si è fortemente 
          condizionati, infatti, dall'andamento del rilievo, di cui si seguono 
          le curve di livello e gli scoscendimenti.
          Intorno alla via d'accesso, che taglia al centro l'agglomerato ed è 
          protetta nottetempo da robuste porte chiuse e vigilate a monte ed a 
          valle, si articola un reticolo di viuzze strette e tortuose, conducendo 
          alle case che si sviluppano in altezza.
          Al mattino, quando le porte si aprono, la popolazione sciama dal "castrum" 
          per attendere al lavoro dei campi, distanti a valle e raggiungibili 
          a dorso di mulo, se non a piedi.
          I castelli, così costituitisi a partire dal VI secolo, videro 
          riconosciuti e garantiti i loro diritti dalla giurisdizione della Chiesa, 
          che anzi intervenne a porli sotto la tutela abbaziale.
          Si rafforzò così il legame fra la popolazione locale e 
          la Chiesa, destinato a durare per secoli fin quando le famiglie baronali 
          romane, gli Orsini, i Colonna, i Savelli, non acquisirono direttamente 
          il potere sui castelli sabini.
        
          
        La Diocesi di Rieti: estensione storica
        Intorno alla metà del V secolo, il territorio 
          sabino fu suddiviso nei tre Vescovadi di campagna, cioè in prossimità 
          di Roma, di Nomentum, Curi e Forum Novum, e nel 
          Vescovado urbano di Rieti.
          All'epoca della guerra greco-gotica risale anche la fondazione del nucleo 
          dell'Abbazia Benedettina di Farfa, assunta sul finire dell'VIII secolo 
          al rango di Abbazia Imperiale.
          Nell'VIII secolo, sorse come filiazione del cenobio farfense l'Abbazia 
          di San Salvatore Maggiore, nel territorio di Concerviano.
          Erano così tracciati i confini meridionali del territorio diocesano: 
          ma a Nord/Est la giurisdizione era complicata da problemi di ordine 
          politico.
          All'epoca del Concilio di Trento (1545-1563), il territorio della Diocesi 
          di Rieti assumeva la forma di un ferro di cavallo, orientato con la 
          parte concava ad Est.
        Qui, la Diocesi aquilana era arrivata ad espandersi 
          fino a Cittaducale, riconosciuta a sua volta sede vescovile nel XVI 
          secolo, con le vicine ville di Santa Rufina, Ponzano, Micciari, Castel 
          Sant'Angelo, Cantera, Paterno, Mozza e Ponte, Cantalice, Lugnano, Borgo, 
          Colle Rinaldo, Rocca di Fondi, Pendenza, Calcariola e Grotti.
          A Nord, si segmentavano i confini delle Diocesi di Ascoli, di Spoleto 
          e di Terni, mentre a Sud erano i confini consolidati con la Diocesi 
          di Sabina e con la Diocesi dei Marsi.
          L'Abbazia di San Salvatore costituiva, all'interno del territorio diocesano, 
          una sorta di enclave su cui il Vescovo di Rieti non aveva competenza.
          I centri maggiori della Diocesi di Rieti erano dunque Greccio, Poggio 
          Bustone, Contigliano, Monte San Giovanni, Rocca Sinibalda, Castel di 
          Tora, Collalto, Pescorocchiano, Petrella, Corvaro, Posta, Borbona, Montereale, 
          Campotosto.
          L'abitato di Leonessa era diviso a metà fra la Diocesi reatina 
          e la Diocesi di Spoleto.
          Il confine del Regno di Napoli, che fino a Leonessa segnava i limiti 
          della giurisdizione diocesana, segnava poi grossolanamente a metà 
          il restante territorio, mettendo a dura prova gli stessi compiti pastorali 
          del Vescovo, ostacolato da urgenze e cavilli diplomatici nel compiere 
          le Visite Pastorali di sua competenza.
          Ma proprio la necessità di superare i vincoli di natura burocratica 
          ed amministrativa rinsaldava a volte i vincoli di natura religiosa, 
          impegnando la popolazione civile a frequentare le chiese e ad abbellirne 
          gli altari.
          Così, il territorio della Diocesi di Rieti, abbracciando entro 
          i suoi confini paesi e popoli soggetti a regimi politico-amministrativi 
          diversi, costituì un crogiolo in cui poterono fondersi istanze 
          ed esperienze diverse, riconoscendosi nella fede comune.
        
          
        Rieti, sede di delegazione pontificia
        Il riassetto dell'antico regime, decretato dal 
          Congresso di Vienna dopo il definitivo tramonto dell'astro napoleonico 
          comportò per la città di Rieti delle mutazioni in senso 
          positivo, sia pur destinate a non consolidarsi nei pochi decenni antecedenti 
          all'Unità d'Italia.
          Papa Pio VII dette l'avvio alla riorganizzazione amministrativa dello 
          Stato Pontificio attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale 
          interno.
          In questa fase, inaugurata dal moto proprio del 6 Luglio 1816, Rieti 
          è scelta come sede della Delegazione Apostolica della Sabina, 
          inglobando i territori tiburtini già sotto la giurisdizione di 
          Farfa e di Subiaco.
          Il papa è consapevole dell'entità del cambiamento che 
          la ventata rivoluzionaria ha portato, e tenta di adoperarsi affinché 
          non si dimostri irreversibile.
          Recepisce pertanto alcune istanze innovative, almeno dal punto di vista 
          più prettamente amministrativo, e le esprime con singolare chiarezza 
          d'intenti: "Mancava ancora al nostro stato quella uniformità, 
          che è così utile ai pubblici, e privati interessi, perché, 
          formato colla successiva riunione di Domini differenti, presentava un 
          aggregato di usi, di leggi, di privilegi fra loro naturalmente difformi, 
          cosicché rendono una provincia bene spesso straniera all'altra, 
          e talvolta disgiungeva nella Provincia medesima l'uno all'altro paese".
          La Delegazione di Rieti dunque viene ad essere costituita aggregando 
          al contado reatino, con Labro, Contigliano e Poggio Bustone a nord-est 
          e Monteleone a sud, il governo distrettuale di Poggio Mirteto, che corrisponde 
          nei suoi confini naturali fra i Monti Sabini ed il Tevere all'antica 
          Diocesi di Sabina, fin quasi alle porte di Roma.
          Rieti, capoluogo di provincia di terza classe, ebbe un proprio Delegato, 
          due Assessori ed una propria Congregazione governativa mentre Rocca 
          Sinibalda, Canemorto (l'attuale Orvinio), Fara Sabina, Poggio Mirteto 
          e Magliano furono sede di governi locali.
          A questi si aggiunsero, nel 1823 i governi di Paganico e Magliano.
          In questo periodo, dunque, Rieti divenne sede del tribunale civile e 
          criminale di prima istanza, della direzione di polizia, dell'assessorato 
          camerale, della sovrintendenza di dogana, della direzione del bollo 
          e registro, dotandosi dì un conservatore delle ipoteche e di 
          un ingegnere per i lavori d'acque e strade.
          Il decentramento amministrativo, forse perché tardivo o comunque 
          promosso con finalità che risultano più appropriate all'organizzazione 
          dei tribunali che al riassetto dell'amministrazione locale, venne di 
          fatto a privilegiare tendenze municipalistiche che resero necessario 
          un nuovo provvedimento di riforma messo in atto nel 1824 da papa Leone 
          XII.
          Le diciassette Delegazioni formate dal suo predecessore vennero ridotte 
          a tredici, mediante la creazione di quattro Delegazioni Riunite: fra 
          queste fu Rieti che, accorpata a Spoleto, pur mantenendosi fedele al 
          Papato nei moti del '30-'31, intese il provvedimento come un'ingiustificata 
          perdita della propria autonomia.
          
         
        Le leggi eversive dopo l'unità 
          d'Italia
         Rieti, parte integrante del circondarlo di Perugia, 
          fu annessa al Regno d'Italia nel 1861: con l'annessione, si estesero 
          anche qui le cosiddette "Ieggi eversive ", risultato della 
          politica condotta fin dal 1849 dall'allora ministro della Giustizia 
          del Regno Piemontese on. Giuseppe Siccardi.
          Questi aveva provveduto ad elaborare un disegno di legge che aboliva 
          il Foro ecclesiastico, sopprimendo tutti i privilegi di cui tradizionalmente 
          il clero godeva. Il decreto del commissario governativo Pepoli n° 
          205, dell'11 dicembre 1860 sancì che i beni degli enti ecclesiastici 
          soppressi fossero amministrati dalla Cassa Ecclesiastica dello Stato; 
          la successiva L. 21 agosto 1862 n° 794 ne decretò invece 
          l'acquisizione demaniale e la concessione ai Comuni.
          Vennero così acquisiti come beni demaniali tutti i possedimenti 
          ecclesiastici, ad eccezione delle chiese parrocchiali che continuarono 
          ad essere officiate.
          Mentre il patrimonio fondiario, accumulato nei secoli grazie a donazioni 
          ed a pii legati, venne messo in vendita a vantaggio dei latifondisti, 
          i complessi conventuali vennero sgombrati e destinati ad ospitare istituzioni 
          di pubblica utilità.
          Il Palazzo del Seminario, che ospitava insieme con il Rettore monsignor 
          Paolo De Santis i Maestri, i Prefetti e ben 123 studenti, fu requisito 
          con un provvedimento d'urgenza nonostante la strenua opposizione del 
          Vescovo monsignor Carletti.
          Il Municipio alloggiò nel palazzo le sue Scuole Tecniche, che 
          vi rimasero dal 1865 al 1879, quando finalmente il ministro della Pubblica 
          Istruzione Coppino consentì la riapertura dell'istituzione seminariale 
          reintegrandone i diritti patrimoniali.
          Ben più amara fu la sorte del monastero di Santa Scolastica, 
          da cui le Benedettine vennero espulse per destinare il sito ad ospitare 
          il carcere.
          Le consorelle del monastero di San Benedetto a Porta d'Arce lasciarono 
          la loro casa al Comune perché potesse adempiere agli obblighi 
          imposti in ordine all'istruzione pubblica dalla Legge Casati, promulgata 
          il 13 novembre 1859 nel Regno di Sardegna e progressivamente estesa 
          all'intero territorio nazionale.
          Le Maestre Pie Venerini, le suore del Bambin Gesù ed i Padri 
          Scolopi, vista l'utilità sociale della loro opera educativa, 
          rimasero nelle loro case; le claustrali Clarisse e Domenicane dovettero 
          ricomprare a prezzo di gravi sacrifici le antiche mura dei loro monasteri.
          I tre grandi conventi degli Ordini Mendicanti subirono anch'essi l'esproprio: 
          presso il complesso degli Agostiniani, fu aperto il Convitto Municipale, 
          più tardi intitolato a Umberto I, mentre nella sala capitolare 
          fu inaugurata la Quadreria Civica, primo nucleo del futuro Museo; il 
          convento di San Francesco fu adibito a nosocomio per i malati di mente 
          fino agli anni Trenta di questo secolo, quando fu costruito il presidio 
          sanitario di San Francesco nuovo; il convento dei Padri Predicatori 
          fu destinato ad accogliere il Regio Esercito.
          Le truppe non esitarono a profanare la chiesa di San Domenico, utilizzandola 
          come alloggio per le salmerie.
          I recenti lavori di restauro hanno messo in luce le scritte che segnalavano, 
          nel transetto, le greppie dei muli.
          Solo dopo i Patti Lateranensi stipulati fra la Chiesa e lo Stato nel 
          febbraio 1929 la situazione si avviò ad un lento, graduale riequilibrio, 
          senza che però potesse essere reintegrato il patrimonio storico- 
          artistico ormai disperso.
        
          
        L'istituzione della provincia di 
          Rieti
         Rieti, fra le diciannove province istituite 
          nel 1927, rappresenta senz'altro un caso a sé stante: pur essendo 
          il capoluogo un centro di antica tradizione storica, il territorio provinciale 
          viene ritagliato da regioni diverse, le limitrofe Umbria ed Abruzzo, 
          per costituire un adeguato retroterra ai nuovi destini di Roma capitale.
          L'antica regione storica della Sabina, che si estendeva trasversalmente 
          abbracciando la zona appenninica dell'Italia mediana, era ormai un'entità 
          astratta, mentre nei secoli si erano variamente connotati ed infittiti 
          i rapporti tra i territori e le popolazioni ai confini fra Regno delle 
          Due Sicilie e Stato Pontificio.
          L'estensione geografica della Diocesi reatina aveva addirittura accorpato 
          paesi e campagne pertinenti ai due diversi ordinamenti amministrativi, 
          unificando nel segno della comune fede religiosa ciò che era 
          politicamente disgiunto.
          L'istituzione della nuova provincia avvenne dunque, celebrata dalle 
          autorità cittadine, ma non per questo meno esposta a disagi e 
          disguidi di tipo burocratico ed organizzativo.
          La Provincia di Rieti, costituita il 12 gennaio 1927 ed inglobata nel 
          Lazio, si estende su una superficie di 2.738,36 Kmq. Comprende gli ex 
          circondari di Rieti (Kmq. 1.445,82) e di Cittaducale (Kmq. 1.292.54) 
          con 73 comuni.
          I cittadini residenti sono 175.023, con una densità di 63,9 abitanti 
          per chilometro quadrato.
          L'erezione di Rieti a capoluogo di provincia determinò già 
          nel 1927 un incremento di 1.198 abitanti e l'istituzione degli uffici 
          amministrativi di maggiore rilievo, dalla Prefettura all' Intendenza 
          di Finanza, dal Catasto al Genio Civile, dalla Banca d'Italia al Provveditorato 
          agli Studi, dalla Questura al Comando del Presidio Militare.
          Per due anni rimasero in vigore le amministrazioni straordinarie, attivate 
          per facilitare la graduale attivazione dei nuovi uffici.
          Dall'aprile del 1929, gli uffici pubblici furono ospitati in sedi degne 
          della rappresentanza provinciale, a cominciare dal Palazzo del Governo, 
          allestito presso il secentesco palazzo Vincentini.
          Non tutti i problemi posti dalla nuova istituzione furono celermente 
          affrontati e risolti: si pensi ad esempio ai problemi dell'industrializzazione 
          e della viabilità.
          Sta di fatto che la costituzione della Provincia di Rieti ha contribuito 
          in maniera determinante ad orientare la storia locale del XX secolo.