La legge prima della recente modifica (1987) così
definiva l'olio di oliva": "È denominato "Olio
di Oliva" il prodotto ottenuto dalla miscela di oh d'oliva vergini
con olio d'oliva rettificato, purché non contenga più
del 2% in peso d'acidità espressa come acido oleico".
Un'altro articolo descriveva esattamente l'olio di oliva rettificato:
"La denominazione di "olio di oliva rettificato" è
riservata al prodotto ottenuto da olio lampante reso commestibile con
il processo agli alcali o con processi fisici che non apportino modificazioni
più profonde di quelle apportate dal detto processo agli alcali".
Dunque l'olio di oliva in realtà poteva essere nella quasi totalità
"olio di oliva rettificato" poiché la legge non prevedeva
la percentuale di olio vergine utilizzato nella miscelazione.
L'olio "lampante" era in realtà un olio ottenuto meccanicamente
(cioè con la frantumazione meccanica delle olive e la spremitura
anch'essa meccanica), il quale non doveva aver subito manipolazioni chimiche
ed all'esame organolettico avesse rivelato odori disgustosi (sic) come
di rancido, di putrido, di muffa, di verme e simili, oppure avesse contenuto
più del 4% in peso di acidità espressa come acido oleico.
Dunque l'olio di base dell'"olio di oliva" (etichettato così
dalla legge) era di provenienza "lampante" rettificato per allontanare
dalla massa oleica tutte quelle caratteristiche negative proprie di un
olio lampante.
Il processo agli alcali naturalmente sottrae tutte quelle caratteristiche
negative lasciando all'olio solo la struttura oleica di base ma modificando
il quadro generale rappresentato dalle sostanze aromatiche, e dalle percentuali
di alcoli e acidi di altra natura.
Si può dire che tutti gli oh che abbiano subito la rettificazione
si somigliano, poiché ciò che fa la differenza tra i vari
tipi di olio sono appunto le sostanze che vengono parzialmente allontanate
con il processo di raffinazione globale (deacidificazione o neutralizzazione,
decolorazione, deodorazione ed eventuale demargarinazione).
A volte può succedere che un olio debba essere semplicemente "raffinato"
o "depurato" per sottrarre quelle sostanze che possono rappresentare
una negatività organolettica.
La nuova legge (vedi tabella di pag. 102) come si può notare non
si esprime più con una terminologia di natura allarmistica specie
per quanto concerne l'olio lampante che ora definisce semplicemente di
gusto "imperfetto" e non disgustoso, putrido ecc. come recitava
la vecchia legislazione del 1960 nel paragrafo 4/a.
L'olio di oliva Extravergine - prodotto non solo tenendo conto della legislazione
che come al solito è carente e lo sarà fin quando le aziende
industriali che si dividono la torta dell'intero comparto continueranno
a premere nel senso a loro più conveniente - è la massima
espressione della genuinità.
Bisogna anche dire che alcune aziende industriali e commerciali serie
che presentano sul mercato olio di oliva e olio extravergine di oliva
sono meritevoli del nostro rispetto poiché rendono commestibile
una massa d'olio immensa che altrimenti non sarebbe utilizzabile dai consumatori,
almeno di casa nostra.
Ben vengano dunque le aziende di raffinazione, rettificazione e "miscelazione"
che compiono dei veri e propri miracoli imbottigliando oli di oliva onesti
di buona fattura e qualità. Però bisogna "dare a Cesare
quel che è di Cesare".
Pertanto l'olio di oliva "naturale" la cui acidità non
superi l'1%, che per legge viene etichettato "Extravergine",
prodotto dalla grande massa di olivicoltori italiani con olive sane, raccolte
nel momento ottimale, pulite e mondate delle loro impurità, macinate
con molazze in pietra o con i più moderni ritrovati tecnologici
e che ha tutte quelle caratteristiche di pregio tutelate e controllate
da organismi locali nel rispetto di un Disciplinare severo, deve essere
considerato il massimo che la natura può regalare all'uomo specie
se l'uomo olivicoltore "aiuta la natura a dare il meglio".
Non basta però acquistare al negozio o direttamente dal produttore
un ottimo olio extravergine di oliva della Sabina marchiato "Magistri
Olii Sabinorum", bisogna saperlo usare sia in cucina che a
tavola e soprattutto conservarlo in modo ottimale.
Sappiate innanzitutto che l'olio di oliva, come i delicatissimi, profumati
e leggeri vini bianchi italiani, di bassa gradazione, è un prodotto
"stagionale" quindi nasce al momento dell'estrazione al frantoio,
si affina subito dopo se ben conservato, matura e poi gradatamente muore,
ossidato dal tempo, dalla luce, dal calore.
Il suo fruttato, la sua fragranza, i suoi profumi e gusti cedono un po'
alla volta al passare del tempo.
Anche se un ottimo olio a volte può reggere benissimo anche un
anno e mezzo ed eccezionalmente due anni, è consigliabile consumarlo
entro il dodicesimo mese dalla sua produzione.
Anche perché non voglio, come fanno molti scienziati prezzolati,
affermare che "nessuna differenza sostanziale esiste tra l'olio di
oliva vergine e l'olio raffinato. L'unica differenza è di carattere
organolettico".
È un po' come dire che non esiste alcuna differenza tra un Barbera
ottenuto industrialmente e magari pastorizzato ed un Barbera imbottigliato
da uno dei grandi maghi dell'enologia piemontese, e che abbia i suoi colori
affascinanti, i suoi profumi e i suoi mirabili sapori.
Certamente dal punto di vista alimentare anche dopo due o tre anni l'olio
di oliva mantiene le sue prerogative ma pensiamo che il cibo e soprattutto
alcuni alimenti come l'olio e il vino, hanno proprio nelle caratteristiche
organolettiche di pregio la loro carta vincente salvo che non si giudichi
il primo un normale apportatore di calorie e di lipidi e l'altro una fonte
di calorie vuote sotto forma di alcool.
Noi siamo per la salute a tavola e non per le abbuffate di Trimalcione
e Lucullo che tanto hanno fatto discutere gli storici, ma pensiamo che
l'appagamento dei sensi gustativi, olfattivi e visivi sia una componente
naturale della vita dell'uomo perché castigarli questi sensi con
prodotti insapori, inodori e incolori?
Raffinazione, una necessità!
Anche se il protagonista di questo nostro lavoro è l'olio Extravergine
d'oliva e nello specifico, quello della Sabina, mi sembra tuttavia necessario
far capire al lettore la differenza sostanziale tra i due tipi di olio
presi in esame nel capitolo precedente: l'Olio di Oliva Extravergine e
l'olio di Oliva rettificato o raffinato.
Siccome alcuni studiosi, naturalmente sollecitati dalle aziende che
commercializzano o producono soprattutto olio di oliva non etichettato
come "extravergine", hanno pubblicamente spiegato le "non
differenze tra i due tipi di olio", voglio in breve descrivere
la nostra verità che credo non contrasti né con l'etica
professionale di chi si accinge a scrivere per un pubblico mirato né
con la realtà dei fatti che può essere osservata da diverse
angolazioni.
Abbiamo esplorato tutte le variabili che incidono più o meno sulla
qualità del prodotto olio.
Abbiamo parlato di cultivar, di problemi edafici (condizioni chimico-fisiche
del terreno) che riguardano gli oliveti, di fattori biotici (organismi
che agiscono sulla vegetazione dell'olivo e sui frutti), di fattori climatico-ambientali,
di tecniche di raccolta, di tecniche di estrazione, della qualità
delle olive ecc.
Non possiamo dunque accettare l'idea che tra i due oli non esiste una
differenza sostanziale.
Affermo, e non temiamo smentite di sorta, che non solo esiste una differenza
merceologica ma anche differenze di natura organolettica e nutrizionale
spesso anche tra due oli extravergini, prodotti in differenti terreni,
climi e microclimi contrastanti, cultivar differenti e ottenuti non con
la stessa tecnica di estrazione.
Sappiamo che la natura si avvale di meccanismi chimici e biologici complessi
per attivare la costruzione dei nutrienti e l'intero patrimonio nutrizionale
dei singoli alimenti in base alla chiave genetica di ogni singola specie
o cultivar.
Tutto ciò viene però influenzato ora positivamente ora negativamente
ed a volte in modo irreparabile, dalle situazioni climatico-ambientali
oltre che dall'intervento umano.
Se la selezione delle cultivar più idonee, nate probabilmente da
alcune specie selvatiche e poco produttive e dall'uomo indotte a produrre
quantitativamente e qualitativamente meglio, è fattore "estraneo"
alla natura vegetativa spontanea di ogni specie vegetale è tuttavia
meritoria e altamente positiva.
Purtroppo però l'uomo spesso opera inquinando o modificando la
risposta genetica di ogni frutto.
Alla variazione determinata dall'uomo si affianca dunque, e spesso in
modo negativo, anche una variazione indotta da fattori naturali, apportando
differenze nella composizione degli alimenti ancora prima di sottoporre
i prodotti alla lavorazione necessaria per renderli edibili.
Sappiamo che le lavorazioni e le "manipolazioni tecnologiche"
apportano modificazioni di ordine chimico, chimico-fisico e biochimico
che interferiscono sui nutrienti di base oltre che sui componenti secondari
dell'alimento.
L'olio di oliva estratto con sistemi empirici dai primi raccoglitori di
olive qualche millennio a.C. e fino a tempi anche più recenti,
era certamente "genuino" ma di pessima qualità a causa
dell'acidificazione dei frutti e dell'olio, della presenza delle mucillagini
e dei residui di morchia che rendevano il prodotto olio forse appena commestibile.
Sarà solo con la scoperta delle cause di alcuni processi che innescavano
un degrado più o meno evidente che l'uomo ha cominciato a produrre
un olio dalle caratteristiche migliori.
Anche oggi in Turchia in Marocco e in alcune altre zone del bacino mediterraneo
si producono oli spesso non commestibili allo stato naturale a causa delle
perossidazioni, dell'elevata acidità e della presenza elevatissima
di gliceridi solidi.
È certamente solo con una buona raffinazione che si riesce da
questi oli, inizialmente immangiabili, ad ottenere buoni oli di oliva
raffinati ai quali è stata sottratta la naturale "anima
cattiva" per farli diventare alimenti lipidici però di scarso
interesse merceologico ma soprattutto organolettico e gastronomico.
Certamente la raffinazione, specie in tempi moderni, eseguita a regola
d'arte, permette di ottenere da oh lampanti, non commestibili e degradati
al massimo, oli limpidi, trasparenti e usabili in cucina e a tavola
come razione lipidica con un identico valore alimentare ma non certamente
identico valore gastronomico-nutrizionale.
Cerchiamo di chiarire il concetto.
L'olio di oliva, anche se essenzialmente è da considerare una razione
lipidica che deve entrare a far parte della dieta quotidiana dell'uomo,
tuttavia proprio per i suoi costituenti "minori" caratteristici
dell'olio d'oliva vergine, merita un posto prioritario nella composizione
della dieta lipidica dell'uomo rispetto a qualunque altro grasso sia animale
che vegetale.
Le risposte organolettiche (fragranza, profumo, aroma, sapore) migliorano
in modo decisivo l'appetibilità dei cibi conditi con olio extravergine
d'oliva specie se di elevata qualità, "promuovendo attraverso
riflessi condizionati, stimoli secretori al tubo digerente così
da indurre, in ultima analisi, una migliore digeribilità",
(Prof. Publio Viola in "Olio di oliva e quota ottimale di acido
linoleico").
Siccome, almeno allo stato attuale della cultura alimentare delle nostre
popolazioni, il nutrirsi e il mangiare in generale non è visto
solo come un'azione fisiologica di sopravvivenza ma come la partecipazione
attiva del proprio organismo al fatto emotivo creato dal tipo di alimentazione
e dalla qualità degli alimenti penso che non sia accettabile l'idea
dell'uguaglianza dei due tipi di olio anche dal punto di vista nutrizionale
salvo che non ci si riferisca ad un grande olio di oliva rettificato ma
"ricostruito" miscelandolo con una percentuale elevata di olio
vergine che ne faccia aumentare la risposta organolettica rispetto ad
una semplice "razione oleica" di un olio privato, nel processo
di rettificazione o "raffinazione", di alcune caratteristiche
di pregio.
"La letteratura riguardante le modificazioni, indotte sulle
caratteristiche chimiche e chimico-fisiche degli oli di oliva dal processo
di raffinazione, non è molto estesa. Limitate poi sono le notizie
relative agli effetti delle normali condizioni di neutralizzazione,
decolorazíone e deodorazione sul valore nutritivo degli oli di
oliva raffinati e, spesso, i pareri in merito non appaiono del tutto
omogenei.
In generale si può comunque affermare che le díversefasí
delprocesso influenzano, in misura più o meno marcata la struttura
degli oli originati "(L. Arrigo e E. Tiscornia in "Correlazioni
tra trattamenti tecnologici e proprietà nutrizionali dell'olio
di oliva").
Certamente, come viene rilevato da una numerosa ed affidabile letteratura,
il processo di rettificazione incide sempre, (almeno allo stato attuale
delle tecnologie correnti) in misura più o meno marcata sulla composizione
dei costituenti minori degli oh vergini trattati.
Le componenti più significative completamente azzerate sono i fosfolipidi,
carotenidi, clorofilla, feofitine ed ubichinoni mentre vi è una
forte depauperazione del patrimonio di tocoferoli, presenti specie in
alcuni oli extravergini.
Non parliamo poi della frazione aromatica (che ha un ruolo importante
nel processo di stimolazione della secrezione) che viene completamente
distrutta dal processo di rettificazione. Altro particolare non marginale
è l'allontanamento quasi totale dalla massa oleica rettificata,
della percentuale di composti fenolici considerati "antiossidanti
naturali" dell'olio di oliva.
Anche se si può affermare che la rettificazione è necessaria
per oli che presentano difetti macroscopici come rancido, muffa, putridume,
acidità oleica elevata (oltre il 4%) e ogni altro fattore negativo
ai fini della sua commestibilità.
Ma bisogna tenere conto che la rettificazione annulla quasi tutti i parametri
di pregio di natura organolettica allontanando piccole frazioni che riguardano
i nutrienti.
L'olio di oliva extravergine naturale che non abbia al contrario questi
difetti ma sia stato ottenuto da frutti sani, mondati, da cultivar particolarmente
vocati a dare un olio di pregio, non degradati da un immagazzinamento
prolungato e mal eseguito, estratto con una tecnica che ne rispetti le
prerogative originarie di freschezza, lavorato e depurato da tutte le
sue potenziali particelle inquinanti (morchia e acque di vegetazione)
è senz'altro il massimo non solo dal punto di vista organolettico
e merceologico ma si può affermare anche dal punto di vista alimentare
e nutrizionale.
Concludendo la rettificazione è un male necessario poiché
solo una percentuale ridotta di olio di oliva, sia di produzione nazionale
che estera, ha caratteristiche di partenza tali da farlo considerare "extravergine
di pregio" il rimanente deve essere sottoposto a raffinazione o rettificazione
per allontanare i composti indesiderati che sono responsabili del degrado.